Biografia e Critica
Gianni Gallian ( Venaria Reale, 1949 ).
Al suo attivo oltre duecentocinquanta mostre fra personali e collettive di pittura e di fotografia in Italia e all’estero, autore di numerose pubblicazioni e organizzatore di esposizioni. Figlio d’arte per avere avuto il padre e il nonno paterno fotografi.
1962-Frequenta l’Istituto Professionale di Stato per le Arti Grafiche e Fotografiche Vigliardi Paravia a Torino. Apprende nozioni di disegno sotto la guida di Luigi Delleani e le tecniche di base della pittura ad olio da Mario Gachet. Inizia a dipingere ad Albisola.
1964-Prima mostra collettiva di pittura, “Dilettanti venariesi”, su invito del pittore Giuseppe Lazzarotto. Giuseppe Lazzarotto scrisse nell’agosto del 1973 la prefazione in occasione della mostra personale di Gianni Gallian alla Galleria Il Riccio di Venezia:
“Gianni Gallian Io l’ho visto nascere; nascere nel senso artistico, ben s’intende. I Suoi grandi aducatori Egli li ha trovati in sé stesso, nella Sua intima essenza di uomo-poeta: maestri che gravitano entro la sola volontà delle proprie energie, entro la spontanea vitalità dei Suoi sensi e della propria emotività spirituale. Questo è il carattere del puro, di chi ha costruito sé stesso senza molti puntelli esterni, per cui ne deriva un prodotto privo delle ibride reminiscenze della didattica sistematica. Questo è il carattere che distingue Gianni. Nella Sua pittura, infatti, suggestiona il senso di chi sa strappare amorevolmente all’immagine le confidenze più segrete, più gelose, trasposte in una dialettica tipica, personalizzata, ricca dell’entusiasmo e della esuberanza di chi ha raccolto un movimento raro e prezioso e sente di poterle, quasi doverle dare una voce, un colore originale. E’ con questo spirito che la spatola di Gianni lingueggia carica di effetti vivacissimi, le note dei suoi colori toccano sottilissimi acuti sia pure a volte nelle semplicità arcane delle languide slavature che inumidiscono spesso di introspettica trasparenza l’anima dei Suoi temi. L’impatto di prorompenti e netti discronismi danno fondo a una dimensione di linee e cromi senza dipanazioni; il passaggio infatti sarebbe troppo fragile per reggere l’impeto del fulcro, eppure l’impasto d’insieme è finemente ondulato e melodico. Questo mettere i colori a faccia a faccia, questo amore per il colore pulito, carico, movimentano un carattere semplice e sincero che per tuttavia deve spesso sfogarsi in un gioco Vivaldiano di virtuosismi nelle pregiate evoluzioni d’impasto, comunque sempre incisivamente decise e ordinatamente differenziate. L’entusiasmo trascina, contamina, fa pensare vivamente, t’impedisce quasi di poter vedere diversamente: questo io provo quando seguo la sequenza dei Suoi componimenti. Fra tutti gli artisti che conosco, Gianni Gallian ha un suo posto preciso, inconfondibile; per me è anche un amico, ma questo non può impedirmi o pregiudicarmi di dire sinceramente quello che penso e sento. Amicizia a parte, chi vive in arte trova sempre una velata sfida nel lavoro geniale di un altro artista, io quindi non vorrei certo essere tanto remissivo all’aggressività della sua fantasia, alla grinta dei suoi plastici che si incrostano mirabilmente in sovrapposizione di movimentate e piccanti coloriture, ma onestamente, ho sempre trovato fortissimo oltre ogni critica resistenza un avvincente aggancio di ammirazione, di suggestione e di meditazione. E’ una pittura che porta a meditare è una pittura con una Sua vera religione. Grandi critici ed imminenti firme hanno già prima e meglio di me profilato le caratteristiche non comuni di questo giovane artista, per cui sostanzialmente a me, con il piacere di aver messo per iscritto quello che penso e ho sempre onestamente pensato di Gianni Gallian, non rimane che l’onore di dargli il benvenuto nella mia cara terra Veneta per la Sua prossima rassegna di Venezia che sono sicuro, come di tutto cuore mi auguro, sarà in conformità alle aspettative dei meriti, delle originali qualità e dei sacrifici”.
1968-Fa parte del Circolo Artistico La Tavolozza di Venaria e del Circolo Artistico Artemole 67 di Torino.
1971-Prima personale di pittura al Centro Artistico La Botteguccia di Altessano. Organizza con Hermann Gatti la Prima Rassegna Nazionale di Pittura “Esempi d’Arte” nella Galleria di Diana al Castello Reale di Venaria, prima volta aperta al pubblico dopo il restauro avvenuto in occasione di Italia 61.
1973- A Torino fa parte dei pittori della Galleria Arte Centro Quaglino e diventa socio del Circolo degli Artisti. Frequenta l’ambiente artistico culturale torinese e gli studi di Albino Galvano, Francesco Menzio, Enrico Paulucci, Filippo Scroppo, Enzo Tomaso Oliva, Claudio Cazzola, Giancarlo Pacini.
Esperienze che daranno vita ad una attività artistica che lo porteranno a diversi momenti espressivi scanditi negli anni avvenire in un itinerario artistico che lo conduce ad una continua ricerca che parte dal figurativo per approdare all’espressionismo, all’espressionismo astratto, all’informale, alla pittura analitica. Inizia a produrre con ritmo crescente ed a partecipare a concorsi nazionali e internazionali in diverse manifestazioni artistiche, dove più volte viene premiato, e ad esporre in Gallerie d’Arte di Torino, Napoli, Roma, Milano, Modena, Venezia, Bologna, Bari, e all’estero a Monaco di Baviera, Lugano, Londra, negli Stati Uniti d’America in una mostra itinerante a New York, Washington e Philadelphia, a Bamberg, Krakov, Parigi, Tokyo.
1974-Firma con Hermann Gatti il manifesto dell’“Immediatismo”. L’annuncio e l’esposizione delle opere avvenne all’Hotel Ambasciatori di Torino. In piena età dell’Arte Concettuale, dove i dettami di essa volevano scalzare il mezzo della pittura che considerava assolutamente superato, la sua attività di pittore si volge in forme d’arte di ricerca con una volontà di reagire e una voglia di ripartire da zero nel ricupero del segno in una azione primaria di fare pittura con il gesto. L’Immediatismo è la sperimentazione e l’analisi del segno nella totale dinamicità di un gesto concluso, il quale non deve essere ripetitivo al primordiale atto del gesto stesso. L’Immediatismo conduce ad una ricerca pittorica emozionale del di-segno, vale e dire, la capacità di porre una linea, una forma, un colore, magari ricuperare un oggetto, il tutto guidato unicamente dall’impulso di uno stato emotivo immediato, e dunque, senza che una riflessione intellettuale si ponga ad uno stato di pensiero meditativo in una simultaneità della costante pensiero-azione sul gesto.
“Torino, 1974: nasce l’Immediatismo. E’ nato l’Immediatismo con Gianni Gallian e Hermann Gatti; lo hanno presentato e tenuto a battesimo nei saloni dell’Hotel Ambasciatori davanti a un pubblico folto, interessato, polemico, consenziente, per tutti i gusti. Gallian e Hermann ci hanno presentato le loro opere in cui la frazione attimale del pensiero e dell’azione è subitanea, un connubio in cui assonanza tecnica pittorica e intellettiva è un tutt’uno. Colori e segni: questa è la regola dell’Immediatismo che hanno evidenziato, secondo uno stato emotivo immediato, ognuno con la propria sensibilità e oggettività. Le opere di Hermann sono policrome, scoppiano e crepitano in una girandola coloristica, il colore si accavalla ai segni, i segni sono sopraffatti dai colori. Inchiostri e pastelli i materiali usati; la mano corre veloce, fissa un’estate abbagliante di blu e gialli, una scala cromatica di valori tonali nella quale è un susseguirsi senza soste di dinamismo esclusivamente pittorico. Gallian invece è monocromo, la traccia è sinuosa e ad elisse, sferzante e nervosa, la percezione del segno afferma la volontà dell’artista di porsi al centro di uno stato esclusivamente sensitivo rifuggendo da qualsiasi altro ripensamento; la sua azione è diversa dal suo compagno di strada, egli distribuisce un solo colore usando un pennello da decoratore, piatto e sottile, molto largo, il quale gli permette di contenere più sostanza acrilica, mai troppo liquida, da distribuire sul supporto fin tanto che il contenuto nelle setole finisca la sua funzione descrittiva per mancanza di materia. Colore e segni a volontà in Hermann, più segni che colore in Gallian. Ecco l’Immediatismo. Il cammino dell’arte continua fra polemiche e consensi, fra battaglie e ripensamenti, fra correnti e controcorrenti: è il bello della pittura. E con tanti auguri all’ultimo nato e ai suoi fautori”. Mario Robiglio
L’esposizione, che ebbe luogo fra il 13 e il 15 aprile, venne anche titolata come il “Manifesto dei 100 anni”, per via che si svolse a cento anni esatti da quel 15 aprile del 1874 di uno dei più grandi movimenti artistici dell’arte moderna: l’Impressionismo. La scelta di quella data era stata voluta per manifestare che da una impressione si può passare all’immediato.
La medesima idea che ebbero Gianni Gallian e Hermann Gatti nel 1974 fu ripresa nel 2012 e presentata all’Artexpo di New York come “Instant Art”, Immediatismo, dove per “instant” è da intendere il significato letterale del termine anglosassone “immediato”; l’esposizione venne titolata International preview of the Immediatism, anteprima internazionale dell’Immediatismo.
1975-Seconda fase dell’Immediatismo. Gianni Gallian si stabilisce con le “Pulsioni”. Opere con pittura a smalto per ferro su lamiera realizzate in un processo dinamico, di istinto e di spinta in segni lasciati liberi che si diversifica in alcuni casi con prove anche a occhi chiusi, quindi senza la percezione del fare in un risultato non conoscitivo. Nel medesimo anno si hanno prove di scultura; ne sono esempio “La non linea”, piccole barre di ferro, del diametro di cm. 0,5 e lunghe cm. 85, piegate in un gesto solo e altri oggetti ferrosi, alcuni dei quali immersi in un contenitore con del cemento.
1976-Firma il manifesto “Foto-Pittura” ed espone nelle sale del Castello di Venaria Reale i Substrati e il Cubo Bianco su una possibile “teoria pittorica” definita della quinta dimensione. Oltre la base, l’altezza e la profondità del cubo al suo interno interagisce lo spazio; solo un lato del cubo è aperto dove dal fondo viene il rimando del segno con i Substrati. I Substrati sono opere su carta emulsionata baritata realizzate con interventi diretti per mezzo di reagenti chimici che nomina in Rechigrafia la tecnica adottata, dove “Re” sta per reagente e “Chi” per chimico. Il segno di materia, intesa la materia come prodotto classico per dipingere, viene sostituito da una sostanza chimica che è liquida, trasparente e dunque non visibile al momento del gesto fisico fin tanto che non si “sviluppa”, dunque la restituzione di una “immagine” di un normale processo fotografico analogico, ma non in questo caso del segno, dove la luce e la chimica sono le generatrici di forme e del segno stesso; quindi la sintesi del percorso del concetto dell’Immediatismo in un processo sottrattivo e di libertà di azione con le trasparenze dei reagenti chimici sui supporti emulsionati liberando cioè il segno, la sua forma, la sua luce, contenuto nell’emulsione stessa e non essere “contagiato” dalla materia stessa. Nel 1976 espone i Substrati con una personale alla Galleria Numero di Fiamma Vigo a Venezia, alla Pinacoteca Nazionale di Monaco di Baviera, alla Società Promotrice delle Belle Arti a Torino, nel 1977 al Salone Europeo d’Autunno a Londra e alla Galleria d’Arte La Bitta a Milano e nel 1978 personale alla Galleria d’Arte Moderna di Salsomaggiore.
Scrisse in merito Albino Galvano, pittore e storico dell’arte: “La recente produzione di Gianni Gallian segna uno stacco deciso, quasi una conversione, rispetto al suo precedente operare. Pittore nel senso tattile e materico della parola, padrone di una tecnica a spatola colla quale operava robustamente in senso figurativo, e attivissimo imprenditore di se stesso e dei propri compagni di strada, Gallian si è di colpo rivolto a un nuovo mezzo espressivo e a una nuova visione di carattere, diciamo, informale. Un mutamento, dunque, radicale, che tuttavia non rappresenta una frattura, se non apparente, colla sua precedente attività. Rimangono, infatti, intatti, anzi potenziati, il senso del colore, il gusto dell’impaginazione meditata e sicura, il senso preciso del tocco che cade al punto giusto e dà un significato allo spazio in cui si dispone e al senso generale dell’immagine. Gianni Gallian sfrutta ora non più la tela e il colore maneggiato con pennelli o spatola ma le qualità recettive della carta sensibile, le sue trasformazioni sotto l’impatto della luce. Fotografie, dunque, e fotografie in bianco e nero e a colori? Si e no. Le immagini che Gallian realizza non sono infatti ottenute fissando l’obiettivo di un qualunque apparecchio fotografico su di un oggetto, ma agendo sulla stessa composizione chimica che sensibilizza il supporto mediante manipolazioni dirette, che, rivelate dai reagenti, evocano l’immagine pensata dal fondo con mezzi diretti. Un procedimento, dunque, che di fotografico non ha che gli strumenti, ma che si apparenta, in realtà, all’opera dei pittori gestuali, a quel loro abbandonarsi all’ebrezza dei sottili passaggi cromatici, dell’imprevisto della chiazza, quasi come ad un test psicologico capace di rivelare i più intimi moti della psiche, conscia ed inconscia. Varrà dunque la pena di parlare dell’opera di Gianni Gallian prescindendo, almeno in un certo senso, dalla singolarità del suo procedimento tecnico, per porre l’accento insieme sulla novità che questo ordine di ricerche crea nella sua attività, e sulla continuità che essa rivela con quanto si conosceva del suo modo di sentire ed attuare la pittura coi mezzi tradizionali. In una parola, la vera svolta nell’arte di Gianni Gallian è costituita meno dal passaggio della pittura alla, diremo così, fotografia, che dall’evolversi delle sue immagini dal figurativo all’informale e al gestuale. Evoluzione, del resto, non sorprendente e in qualche modo implica nelle premesse del suo precedente lavoro. La preparavano, infatti, quel gusto sicuro nel sospendere il tocco, nel lasciarlo cadere sulla tela o sul foglio in modo che acquistasse una propria autonomia rispetto al significato puramente rappresentativo, illustrativo dell’immagine. Ma Gianni Gallian resosi conto di quanto era essenziale e di quanto rimaneva puramente accidentale nella propria pittura, con la consequenzialità e il rigore mentale che lo distingue e con il furore appassionato con il quale conduce a fondo ogni esperienza, ha subito sentito come un mutamento nel suo modo di vedere dovesse andare sino in fondo, investire non soltanto il risultato tecnico ma lo stesso approccio linguistico al tessuto dell’oggetto non più rappresentato ma direttamente realizzato. Nascono così queste splendide “fotografie” che sono poi tutt’altra cosa: una ricerca intorno alle possibilità dell’esperire visivo, un’azione operativa che va oltre il disegnare e il rappresentare. Ed ecco ripresentarsi la possibilità per il fruitore di ripercorrere insieme all’artista, il momento emozionale da cui nascono questi fondi colorati: i purpurei o i rosa quasi carnali, i bruni o gli azzurri cui il variare della carta lucida o matta conferisce una varietà di modulazioni che hanno, insieme, tutto il carattere personale che la mano del pittore potrebbe imprimere alla tela, e la perfezione, l’unità senza defezioni che solo il procedimento fotochimico consente. L’arabesco, le sigle che Gallian ricava o imprime su quei fondi hanno la libertà e la carica espressiva che tutta una corrente illustre dell’arte moderna ha da tempo conferito a quest’ordine di ricerche e che ora, con il suo speciale procedimento Gallian ingegnosamente e individualmente rinnova. Il fascino di questi fogli è indiscutibile e persino troppo ghiotto e accattivante nell’ambito prezioso della sensualità cromatica e delle variazioni grafiche. Ci troviamo, insomma, di fronte ad una situazione paradossale, quella di un pittore che riscopre le ragioni più elementari e profonde del dipingere, la gioia di esprimersi attraverso il segno ed il colore, proprio nel momento in cui abbandona gli strumenti tradizionali dell’arte, per affidarsi alle risorse più attuali della scienza e della tecnica. Risultato paradossale, dicevamo, ma felice, e che dimostra, oltre tutto, come non esista incompatibilità fra scienza e fantasia: quando il talento è vitale”.
1979-Partecipa al terzo concorso nazionale di pittura e grafica alla Galleria la Telaccia di Torino; si aggiudica il 1° premio per la grafica con i Substrati.
1980-Crea i “Volumi”: dentro alla pittura-pittura. Opere monocrome realizzate dall’accostamento di due tele contrapposte con tagli e recupero della tela tolta, dove viene stropicciata e fissata con collanti andando a creare delle forme di materia, il tutto è assemblato e posizionate nello spazio all’interno del volume. Espone i Volumi con una personale a Palazzo Polverosi a Roma.
“Gianni Gallian artista conosciuto per le molteplici ricerche e creazioni, che dall’Immediatismo, alle Rechigrafie è ora passato all’endopittura, dimostrandoci un nuovo “passaggio”, che può lontanamente riferirsi a Burri e a Fontana? nulla di più assurdo, egli ha richiami leggibili del tutto diversi. Vediamo ora i “Volumi”, denominazione delle opere. Sul fronte del quadro, mai dipinto, appare un taglio ovoidale profondo, ed in esso esce la forma “chiave” dai ritagli di tela fortemente stropicciati, trattati con collanti, che emergono dal “taglio-buco”, ed essa è tela anteriore; mentre la seconda tela vergine viene applicata sul retro al rovescio, con annessi supporti e liste, la quale fa da chiusura e da contenimento all’opera stessa. Gallian crea in un assoluto rigore formale, nell’indagine visiva compiuta in un’analisi di profondità che esce da quella sua fertile mente, quasi filosofica, unita ad una forza interiore di superamento che ci porta ad una ipotesi di concettualità possente di questa “endopittura” e cioè lavoro “dentro l’arte”, che stupisce ed affascina.
Anita Ferrando
1983-Partecipa alla Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Bologna e di Bari, alla mostra Artisti Italiani Contemporanei a Palazzo Ginza Dai-Ichi a Tokyo, e al Centre International d’Art Contemporain al Salon des Nations a Parigi.
1984-Personale alla Galleria Contatti d’Arte Contemporanea a Venaria Reale, “Venti anni con la pittura-dal figurativo all’informale”.
“E’ mia convinzione che in occasioni come questa nessuno debba essere preso per mano e condotto di opera in opera alla scoperta di pretestuosi segreti: l’Opera Artistica deve essere interpretata e goduta in modo autonomo spaziando liberamente di tappa in tappa lungo tutto il perimetro del suo composito sviluppo. Tanto più se si tratta dell’opera di Gianni Gallian...Preferisco qui parlare di Arte che non ha Tempo, non ha colore, non ha Materia; ma solo un Figlio che la interpreta in “chiave” di volta in volta diversa, e con mezzi diversi…Solo il Lettore attento che avrà la bontà e la pazienza di leggere sino in fondo questo catalogo, potrà meglio capire i “momenti” artistici del personaggio che qui celebro; momenti che per necessità di sintesi si riducono a quattro. La loro conoscenza è chiave di lettura indispensabile alla compressione della sua Opera. “Artista arrabbiato”? I più, conoscendolo solo esteriormente, potranno dissentire. Compassato, imperturbabile, gentiluomo, certo! Capace tuttavia di slanci interiori imprevedibili e segreti: da sempre gli rode dentro il buon tarlo della ricerca alla quale si vota con tenacia e caparbietà. Neglige i più facili allori, sordo persino alle esortazioni di quanti lo vorrebbero ancorato al suo espressionismo migliore, quello delle “esplosioni ecologiche”, così ho liberamente titolato i suoi alberi in fiore, o alle “fabulanti Venezie”, o ancora alla sua grafica limpida e incisiva; tappe, queste, che insieme completano il suo “Primo Momento”, e forse non è esatto e neppure prudente affermare che questo Suo “primo momento” sia il migliore: è senz’altro di più facile lettura. Ma Gianni Gallian è artista di razza e mal sopporta qualsivoglia limite, e i tre “momenti” che seguiranno sono soltanto più cerebrali. Così, lavorando giorno dopo giorno, ora dopo ora, con la solita logica e, per lui, naturale sequenza…scopre il suo “Immediatismo”, inventa la sua “Rechigrafia”, dà vita infine ai suoi “Volumi”, in una costante che si chiama ricerca…Per maggior completezza del catalogo apporterò più oltre qualche breve annotazione introduttiva a ciascuno del quattro “Momenti” dell’Opera stessa, aggiungendo qua e là, sempre coi limiti imposti, “brani” e “brandelli” estrapolati dai chilometri di inchiostro che la Critica più attenta e la Stampa più qualificata hanno sin qui voluto e saputo dedicare al nostro Artista. Alla sua Opera auguro lunga vita”. Alcune note estratte dal catalogo a cura di Camillo di Carlo
1988-Personale alla Galleria Cassiopea di Torino dove espone i Volumi bianchi, i Volumi grigi e i Volumi neri. “Dal catalogo della mostra: Dentro alla pittura”. Recensione di Vittorio Bottino. Volumi, una pittura dentro alla pittura a ricercare forme che esplodono in dimensioni ora raccolte ed ora protese verso un ristretto spazio. Da due tele contrapposte, e quindi volumetriche, si aprono “finestre” di lacerazioni che lasciano trasparire l’interno della pittura: un teatrino immaginario con una coreografia composta da pochi colori, tonalità secondarie da una primaria che raramente va oltre ai grigi, ai neri, lasciando al bianco il compito di essere un interlocutorio. Si evidenzia in tale maniera un rilievo della forma dentro e sopra la superficie che funge da elemento catalizzatore, un richiamo di memoria per penetrare nell’inconscio della materia, che poi, in definitiva, è l’inconscio dell’uomo e dell’artista in un bisogno di evasione…Spesso i contenuti, nell’arte di ricerca, sono di difficile individuazione ed in molti casi diventano invenzioni del critico d’arte più che intento dell’artista, nel caso di Gallian è l’operatore invece che “spinge” il fruitore a scoprire entità nascoste che divengono, con facilità, codice di lettura per un colloquio reciproco su quei “teatrini” approntati con vigile cultura da un artista che nulla concede al caso, guidando l’intuizione con senso ragionato. Un rientro all’ordine, se così si può dire, dopo l’Immediatismo e la Rechigrafia…Nel clima delle proposte Gallian scopre nei Volumi una dimensione onirica anche se il rigore costruttivo tende a far primeggiare il geometrico, le “finestre” si mutano in simboli, costruite con una oggettività tattile che non esclude una dimensione altra rispetto quelle conosciute, anzi la rafforza, il linguaggio si snoda sempre più rarefatto e prezioso, la stesura si arricchisce di una grafia essa stessa colore, gli equilibri, in superficie, stanno quale spazio plastico a determinare una particolare concretezza di suggestione psichica, attuata come pura dinamica dell’espressione, senza scorci, senza stilizzazioni esterne, spostando continuamente i centri focali compositivi a coinvolgere lo spettatore; ma poi senti, all’improvviso, che devi proprio andare “dentro” ai volumi per indagare i contenuti non denunciati ma resi palesi a chi intenda seguire l’esaltazione dell’attimo visivo. Un dettaglio riflessivo in apparenza che impone le più svariate congetture in una realtà nascosta”.
Nel medesimo anno realizza il “Volume mobile”: la tela perde la sua natura statica e prende vita. La tela anteriore più stretta può scorrere in modo manuale su un’apposita cornice telaio per mezzo di cuscinetti a sfera su quella posteriore più grande, dunque la possibilità di posizionare a piacere i valori tonali e grafici dell’opera. Si tratta di una tela retrospettiva di fondo, posta al contrario, e una visualizzante libera di scorrere davanti in sovraimpressioni cromatiche, una sorta di sovrapposizione-scomposizione che favorisce ulteriori letture, con l’utilizzo di soli tre colori: il bianco, il rosso e il nero. Il bianco summa di tutti i colori, genesi dichiarata, canto consapevole delle nostre origini, antropologica coscienza del primordiale; una genuina schiettezza che ci accompagna dai nostri albori. Il rosso prepotentemente si manifesta in tutta la sua rivoluzione sentimentale di passioni, di contraddizioni, di trasposizioni, di eccessi: ira, odio, amore. Il nero indica non solo il superamento di tutti i colori, ma una dimensione della vita, dopo la vita. La grafia è informale con il colore rosso centrale e dominante sulla tela anteriore che scorre sui due campi della tela posteriore su due cromatiche da sempre contrapposte, dove a destra c’è il bianco e a sinistra il nero, vale a dire nascita-vita-morte, o viceversa per una lettura universale. Una tematica, oltre che artistica, messaggiativa, in quanto riferita all’esistenzialità che è caratterizzata dalla progressiva simbologia materico-cromatica: estesi spazi bianchi quale inizio della vita, consistenti porzioni di rosso che sottolineano l’evoluzione della stessa, altre parti in nero che segnano la fine dell’esistenza umana e, con essa, i suoi valori terreni. Le tele sono volutamente lacerate a manifestare la profondità di veduta e di sentimenti, che il semplice scorrere del colore in orizzontale non soddisfa; è il superamento della pittura su tela; una operazione che ci porta verso la dimensione dell’infinito; da questa lacerazione scaturisce, non più la tela stropicciata dei primi Volumi, ma l’uso di un brandello di indumento, un taglio di stoffa di una qual si voglia parte di abbigliamento indossato nel passato dell’artista a testimoniare volutamente in questa visione del vissuto la sua presenza.
“Si può senza dubbio affermare che la maturità artistica di Gianni Gallian abbia trovato eco nel colorare quell’esplosione inconscia che si annida segretamente nel più profondo dell’anima. Un’espressione pittorica sostenuta dal coraggioso esito di trascurare la comoda e scorrevole via dell’arte figurativa. Non è facile e neppure semplice in uno spazio così breve semplificare un boato artistico dai contenuti così molteplici; questione di valori, di significati della vita, che con una attenta chiave interpretativa possiamo leggere, capire, intuire nelle tele di Gallian. L’artista utilizza solamente tre colori per rendere ricco il travaglio dell’esistenza. Colori classici, in acrilico, pittura resistente alla luce, una idropittura usata nei murales messicani durante la rivoluzione, bianco, rosso, nero. Ognuno racchiude e sprigiona determinati aspetti e sentimenti. Il bianco innanzi tutto, somma genetica di tutti i colori; in esso leggiamo la nostra nascita, gli albori della vita, la purezza profonda che può mai euticamente trasparire in ognuno di noi, la bellezza dell’universo. Il rosso simboleggia la vita piena, la rivoluzione dell’essere, dell’io, con le implicazioni psicoanalitiche di trasposizione, l’esuberanza, le passioni, e le contraddizioni derivanti, l’amore, l’odio, la pace, la guerra, il sangue: sentimenti ovunque. Il nero, il superamento di tutti i colori, la fine valorizzata di tutto, della persona, l’inizio occulto di chissà cosa; una conturbante visione positiva in questa accezione. L’opera si compone di due tele contrapposte che formano uno spazio volumetrico; la prima retrospettiva coinvolge il corpo, la materia; la seconda libera di scorrere sulla prima, si identifica con l’anima. La necessità di scoprire e trovare un profondo equilibrio della vita è data anche dalla geometrica quadratura delle tele e dal loro gioco di libero posizionamento della tela scorrevole, dunque l’artista da vita così al suo Volume mobile dove i colori sono equazionati sui sentimenti di una tela, vengono posizionati sulla retrospettiva, in una sorta di binomio catalittico”. Santino Tatano
1991-Personale alla Galleria Cassiopea di Torino dove espone il “Volume mobile” e il “Volume mobile meccanizzato”. L’idea era rendere l’opera autonoma, che si muovesse da sola, e dunque per mezzo di un meccanismo con motore elettrico posizionato nel retro dell’opera, la tela anteriore scorre lentamente su quella posteriore con l’andata e il ritorno dallo spazio bianco di sinistra a quello nero di destra aprendo e chiudendo sulla linea della zona rossa centrale in un continuo raccordo con gli altri due colori; una estensione, la quale dura nel tempo senza interruzione andando a modificare in modo regolare e costante la visione dell’opera. Con i Volumi mobili conclude un ciclo pittorico.
All’inizio degli anni Novanta riprende il concetto del “segno di ritorno”, già sperimentato con la Rechigrafia, usando dunque ancora il procedimento chimico-fotografico su tela emulsionata confezionata in rotoli. Un modo di continuità del segno stesso, alla Pinot Gallizio, un gesto “libero” senza immediati confini usando però per la traccia del segno di ritorno i procedimenti della stessa fotografia ma non convenzionali alla medesima su materiali fotosensibili, sia in camera oscura che alla luce solare, e solo in quel modo si dà vita, con manipolazioni dirette, ad una casualità continuamente provocata ma del tutto governata in uno sperimentalismo istintuale del puro “trovare”. Inizia una ricerca, sulla soglia della pittura, con un ciclo di opere su tela emulsionata con interventi successivi usando colori acrilici.
Senza abbandonare la pittura, per oltre un decennio, si dedica alla fotografia artistica e sperimentale.
Nel 1994 e nel 1995 partecipa al Toscana Photographic Workshop con Francesco Nonino e il fotografo statunitense James Megargee, maestro della stampa Fine Art, per mezzo del quale apprende tecniche di stampa con processi chimici non più in uso in relazione alla fotografia tradizionale. In quel periodo ha occasione di conoscere John Goodman, Larry Fink, Marc Haven, Sally Mann.
1996-Partecipa al Kodak European Gold Awards, concorso fotografico di ritratto professionale.
1998-Realizza stampe in offset a tiratura limitata da fotografie eseguite con interventi manuali su pellicola Polaroid. Partecipa al concorso fotografico internazionale Hasselblad Open con segnalazione di merito a “Tribute to the Great Master for creative excellence”.
2000-Partecipa al Kodak-Hasselblad Open International Photo Challenge con opera segnalata.
2006-Partecipa alla IX Biennale Internazionale di Fotografia Aqueducte 06 a Cerdanyola in Catalunya. Soggettiva Collegno Fotografia, Mostra collettiva “Immagini del gusto” del Fotogruppo l’Incontro al Museo della Città nell’ambito del progetto del Centro Italiano della Fotografia d’Autore. Ottavo Concorso Fotografico “Raccontami una storia”, 1° premio con il portfolio “L’ultimo cielo”, dedicato all’Olocausto, Villafranca Piemonte.
2007-Personale al Museo della Città di Collegno, “Nel bosco, silenzi e rumori”, fotografie.
“L’itinerario espressivo di Gianni Gallian appartiene alle esperienze dell’area culturale torinese, a una ricerca in cui parola e immagine diventano misura del tempo e delle implicazioni sociali, a una narrazione in cui si avverte una profonda volontà di comunicare le interiori sensazioni. E dalla prima collettiva di pittura all’inizio degli anni sessanta a questa personale di fotografia, nella suggestiva cornice del Museo della Città di Collegno, si snoda un cammino di oltre quarant’anni fra pittura, in pagine dettate nella tradizione figurativa per arrivare in un lungo percorso sino alla pittura analitica, e dalla fotografia, da quella convenzionale alle esperienze non convenzionali della stessa. Per Gallian la fotografia è da sempre stata un punto di riferimento per certi valori di mestiere e affettivi, dunque la testimonianza di un impegno costruttivo e la dimensione di un sentimento vitale, in qualche caso esclusivo; un lungo, appassionato, rievocativo, studio-linguaggio fra le due arti, che in questa esposizione rappresentano l’occasione per un nuovo incontro con la stagione artistica di Gianni Gallian, con i suoi sogni, con le segrete certezze, ma con il fascino di un suo racconto dove egli coglie da artista momenti creativi di indubbio spessore.
Angelo Mistrangelo
Dal 2007 al 2010 organizza e partecipa per Soggettiva-Collegno Fotografia, con esposizioni alla Sala delle Arti e al Museo della Città, le mostre: Il Ritratto e Figura Ambientata, Il Paesaggio, Street Photography e La Natura Morta curandone i cataloghi. Tuttavia, sin dalla metà degli anni ’90, in parallelo alla fotografia tradizionale, non ha mai abbandonato le sperimentazioni su supporti emulsionati. In questo periodo prende esempio dagli esperimenti di fotogrammi artistici di Christian Schad, membro del gruppo Dada di Zurigo, che nel 1918 recupera la tecnica del contatto fotografico e inventa con questo procedimento, chiamato “schadografia”, un nuovo modo di realizzare immagini senza apparecchio fotografico, il quale si caratterizza ponendo oggetti su carta emulsionata che vengono impressionati dalla luce andando a svilupparli come un comune processo fotografico con il risultato di immagini dirette dai toni invertiti, inaugurando così un aspetto della fotografia astratta in composizioni che chiamò “oggetti trovati”. Inizia un progetto di lavoro sulla linea d’orizzonte con la pittura e con la fotografia, con la quale utilizza procedimenti fotografici non convenzionali proposti in chiave espressiva; con i Fotogrammi inizia un dialogo con la linea retta. Successivamente produce tracce di partenza in superfici graffiate e in superfici incise con il pirografo in un processo di sottrazione del segno in una ricerca oltre la linea, oltre l’orizzonte verso l’infinito in un spazio atteso come momento d’osservazione senza limiti e sopra qualunque immaginazione. Oltre ai Fotogrammi, ai Lucigrammi, realizzati in camera oscura, segue altri procedimenti chimico-fotografici in piena luce, quali i Chimigrammi e le Ossidazioni in sperimentazioni e riflessioni sulla forma-luce. Produce la serie degli “Orizzonti” su carta emulsionata.
Dal 2013 al 2015 dirige e recensisce il progetto Light Impressions-Scrivere con la luce in tre edizioni di Paratissima per il Fotogruppo L’Incontro di Collegno dai titoli: I Fotogrammi, grado zero della fotografia, La luce e la chimica come generatrici di forme e Opera Prima, ovvero il foro stenopeico.
Nel 2013 e nel 2014 espone a due edizioni di Paratissima a Torino.
2016-Espone al Circolo degli Artisti di Albisola nella sede di Pozzo Garitta. Nelle opere recenti di Gianni Gallian, dove l’artista ha un ritorno verso la pittura ritroviamo la linea orizzontale, meta della sua ricerca, la quale ha “viaggiato” negli anni presentandola in spessori di colore ai non spessori, o spessori minimi, come il grado zero dei substrati, nello strato di sotto con le incisioni per arrivare agli interventi di materia su tela, dove in queste opere diventa forma in una sorta di plasticismo con una struttura formale di essenza, essa si articola nello spazio del supporto e diventa tridimensionale senza illusione, nel senso reale del termine pur disponendo di una superficie bidimensionale, resa dal corpo e dallo spessore di una corda che da rilievo alla linea stessa che si articola e si materializza come una insorgenza orizzontale disposta secondo un ordine calibrato sulla teoria del campo in uno stato di equilibrio tra il figurativo e il concettuale, tra realtà e immaginazione, dove essa attraversa sospesa la superfice dell’opera in una sola direzione andando a traghettare oltre i bordi della tela. Questi sono i momenti e le tappe significative del suo iter artistico, elencando le mostre importanti di partenza dei suoi cicli pittorici con alcune recensioni importanti in merito, in un percorso di oltre cinquant’anni passati in una continua ricerca e da varie sperimentazioni usando materiali e supporti di diversa natura per arrivare, recentemente, agli spazi aggiunti di “tela su tela su tela”.
La sua opera è stata citata in articoli su quotidiani, recensioni su cataloghi, riviste, annuari, dizionari e cataloghi d’arte nazionali.
Di Gianni Gallian hanno scritto: Dante Angeleri, Marco Appiotti, Delfo Artino, Lisa Bellotti, Marziano Bernardi, Ernesto Bodini, Gian Paolo Boetto, Vittorio Bottino, Luigi Carluccio, Michele Cennamo, Tiziana Conti, Mario Contini, Camillo di Carlo, Jaqueline Wilma Dolo, Marina Dorigo, Giorgio Falossi, Anita Ferrando, Ivone Franzoso, Albino Galvano, Hermann Gatti, Orazio Geraci, Emma Gozzano, Giuseppe Lazzarotto, Gian Giorgio Massara, Michelangelo Mazzeo, Angelo Mistrangelo, Angelo Morchio, Paolo Alfredo Moresco, Enzo Tomaso Oliva, Francesco Prestipino, Paolo Rizzi, Mario Robiglio, Adalberto Rossi, Franco Scotti, Lina Segre, Giuseppe Storti, Mario Tanganelli, Santino Tatano, Vittorio Tiberi, Renzo Tonello, Piero Trivisano, Tommy Vallò, Beppi Zancan.